La crisi dell’industria dei videogiochi

PlayStation Studios ha annunciato 900 licenziamenti. Electronic Arts, 670. E Microsoft, ben 1.900.
Nel 2023 il settore ha quasi raggiunto la quota di 18.000 licenziamenti, con 8.000 di questi solo nei primi mesi dell’anno corrente.

È ormai chiaro che il settore dei videogiochi sta attraversando una crisi senza precedenti, evidenziata da licenziamenti di massa, chiusure di software house e fallimenti commerciali di giochi Tripla A. Questa situazione critica solleva preoccupazioni non solo sulle dinamiche di mercato, ma anche sulle strategie finanziarie adottate dagli sviluppatori e dagli editori di videogiochi.

Un modello economico in crisi

Parte dei problemi deriverebbe dal modello economico dei giochi Tripla A, che pian piano si sta rivelando sempre più insostenibile. Progetti come “Immortal of Avium”, “Forspoken” e “Redfall” hanno richiesto investimenti di centinaia di milioni di dollari, ma che non sono stati in grado di raggiungere i risultati sperati in termini di vendite e di accoglienza da parte della critica. Al contrario, titoli sviluppati con budget limitati stanno prendendo una posizione di un certo peso nel settore, sfidando le convenzioni dell’industria e mettendo in dubbio la sostenibilità del modello delle grandi produzioni.

Uno dei problemi centrali è l’esponenziale aumento dei costi di sviluppo. Per esempio, lo sviluppo di “Marvel’s Spider-Man 2” è costato circa 315 milioni di dollari, quasi il doppio rispetto al suo predecessore. Questi aumenti di budget non hanno trovato la corrispondenza sperata in un incremento proporzionale delle vendite, mettendo a dura prova la capacità di questi progetti di generare profitto. Il report della compagnia di analisi IDG evidenzia come, nell’ultimo decennio, il budget medio per i titoli Tripla A sia passato da 50-150 milioni a cifre che superano regolarmente i 200 milioni, a fronte di vendite che aumentano solo di pochi punti percentuali.

Per questo motivo la questione dei ritorni sull’investimento diventa sempre più pressante. Prendendo ancora l’esempio di “Marvel’s Spider-Man 2”, per rientrare nei costi e iniziare a generare profitto, il gioco avrebbe dovuto vendere circa 7 milioni di copie a prezzo pieno, un obiettivo raggiunto, certo, ma che lascia poco margine per ulteriori entrate. Questo scenario si complica ulteriormente con alcuni dei titoli attualmente in lavorazione negli Studi di PlauStation, come il nuovo “Wolverine” e “Spider-Man 3”, per i quali sono previsti budget superiori ai 300 milioni di dollari, con ritorni sull’investimento (ROI) previsti intorno al 70%, molto al di sotto del margine del 30% di “Spider-Man 2”.

Una crisi che pagano lavoratori e consumatori

La crisi che attraversa il settore videoludico non è solo una questione di numeri e percentuali; è una sfida che tocca il cuore stesso di ciò che significa creare e godere dei videogiochi in questa nuova generazione del mondo del gaming. La tendenza degli sviluppatori a puntare sul “gioco più grosso e più maestoso di sempre” nella la speranza di ottenere un successo planetario unita al sempre più crescente entusiasmo per i game as service hanno dimostrato le loro insidie, tanto per gli sviluppatori quanto per la comunità di giocatori. È una dinamica che, quando fallisce, porta a decisioni drastiche come licenziamenti di massa e ristrutturazioni aziendali, lasciando un segno indelebile non solo su chi lavora nell’industria, ma anche su coloro che vi si immergono nei mondi di gioco.

L’aumento del prezzo dei giochi, passato dai 50 euro di inizio millennio agli 80 euro oggi, e la prospettiva di ulteriori aumenti fino a 100 euro entro il 2027, rappresentano una sfida significativa sia per i giocatori che per gli sviluppatori. Sempre più consumatori optano per attendere sconti o si orientano verso titoli indipendenti o a budget ridotto, evidenziando una discrepanza tra le politiche di prezzo e la volontà di spesa dei giocatori.

È imperativo, quindi, che l’industria si avvicini a un punto di svolta, dove l’innovazione non si misuri in termini di dimensioni o di spettacolarità grafica, ma nel creare esperienze significative, accessibili e, soprattutto, sostenibili sia per chi produce che per chi consuma. In questo scenario, la speranza è che possa emergere un nuovo paradigma, dove i giochi vengano apprezzati per la loro capacità di connettere, emozionare e coinvolgere, piuttosto che per il loro budget di produzione o i loro effetti speciali all’avanguardia.

In definitiva, il futuro del gaming dipenderà dalla capacità dell’industria di adattarsi a queste sfide, trovando un equilibrio tra ambizione e responsabilità, tra innovazione e accessibilità. Solo così si potrà garantire che i videogiochi rimangano una fonte di gioia, ispirazione e comunità per tutti, senza che il peso dei fallimenti e degli aumenti di prezzo ricada ingiustamente su chi sta da entrambi i lati dello schermo.